
Appuntamento alle 17 di sabato 10 maggio in concessionaria. L’aria calda del pomeriggio porta con sé l’eccitazione palpabile di chi sta per condividere un’avventura. Due istruzioni al volo, un’ultima occhiata agli specchietti e ai compagni di viaggio, e ci ritroviamo a sfrecciare via, il rombo dei motori a fare da colonna sonora a questa strana, meravigliosa follia. Due ore dopo, la vista del sole che si tuffa lentamente nelle acque placide del lago di Bolsena ci regala la prima ricompensa. I primi 100 km sono volati via, un turbine di sensazioni nuove, il vento tiepido sulla pelle che improvvisamente diventa gelido. Ai bordi della strada la neve… no dai non può essere. Verosimilmente i residui di una grandinata di qualche ora prima. Il profumo della terra si fa più intenso. Mille le domande si affollano nella mente… metti gli occhiali per proteggerti dal vento o li togli per vedere meglio? Ci sarà il riflesso fastidioso dei fari delle auto? Le luci delle moto che ci precedono diventeranno accecanti? Mentre ti fai queste pippe mentali, combattendo tra la prudenza e la voglia di non perdere la scia degli altri, è già buio pesto. Un buio così denso che mi accorgo delle curve solo perché il fanale posteriore di Anna, fino a un attimo prima una rassicurante macchietta rossa, spariva improvvisamente. Ohibò, dov’è finita? Un piccolo battito accelerato nel petto, un attimo di smarrimento… Ah, eccola, sta spuntando dietro la curva, la sua sagoma illuminata fiocamente nella notte.
Un’altra ora di curve sinuose e paesaggi notturni per fare il periplo del lago, fino a quando le luci fioche ci hanno indicato l’agriturismo ‘La Nuova Fattoria’ a San Martino al Cimino. ‘Nuova’ forse per la quantità industriale di brecciolino bianco polveroso appena scaricato sul vialetto d’accesso. Cento metri che sembravano un incubo a rallentatore, le ruote che affondavano mollicce, la moto che serpeggiava come un’anguilla impazzita. Una nuvola di polvere mi ha avvolto, facendomi tossire e pensare con crescente amarezza… ma chi me l’ha fatto fa? Il 10 maggio del 2025, alle 22 precise, nella mia realtà alternativa stavo beatamente cazzeggiando sul divano, avvolta nel mio pigiamello, a torturare la galleria del telefono con raffiche di foto dei miei gatti che dormono in pose improbabili. E invece eccomi qua, in bilico precario su questo brecciolino infame, a smadonnare come pochi, cercando di non finire gambe all’aria proprio davanti all’agriturismo ‘nuovo’ di zecca. Iniziamo a cenare alle 22, e incredibilmente è pure presto. La prospettiva di dover raggiungere la Capitale per le prime luci dell’alba mi fa sorgere un’unica, angosciante domanda: ma che famo fino alle 6?

Dopo una cena che, nonostante l’adrenalina, ha riscaldato gli animi e stemperato un po’ la frustrazione per il brecciolino assassino, ci siamo rimessi in sella, pronti ad affrontare le ultime ore di viaggio. La notte ci ha avvolto nel suo manto silenzioso, interrotto solo dal rombo costante dei nostri motori che fendevano l’oscurità. Le leggere luci dei rari centri abitati che attraversavamo sembravano piccole isole di calore in un mare nero. La stanchezza iniziava a farsi sentire nelle spalle e nel collo, ma la concentrazione sulla strada era un antidoto efficace contro il sonno. Ogni tanto, un fascio di luce dei nostri fari illuminava improvvisamente gli occhi di qualche animale ai bordi della carreggiata, un fugace incontro nella notte. I pensieri vagavano liberi, ripercorrendo i momenti della giornata, dalla bellezza del tramonto sul lago alla maledizione del brecciolino, fino all’immagine sempre vivida di Roma che ci aspettava. Lentamente, impercettibilmente, l’aria ha iniziato a farsi più frizzante. I lunghi alberi delle imbarcazioni ci indicano che stiamo vicino ad un porto. Cinquanta moto una settantina di persone un po’ folli che alle due e mezza di notte gironzolano per Civitavecchia. Ditemi voi se è normale… Prendiamo l’Aurelia e costeggiamo tutte le cittadine marinare del nord della Capitale. All’altezza di Santa Marinella un tonfo al cuore… ma questa è un’altra storia.
Finalmente, alle 4:00 del mattino, percorriamo la famosa via Piccolomini. E lì, davanti ai nostri occhi stanchi ma spalancati, si è materializzata la leggendaria vista della Cupola di San Pietro. Imponente, maestosa, illuminata da una luce quasi irreale che la staccava dal cielo ancora scuro. Un’emozione così intensa da mozzare il fiato, un sussulto che avrebbe toccato il cuore di chiunque, persino di un induista abituato a ben altre sacralità. In quel silenzio ovattato dell’alba romana, con la città ancora addormentata ai nostri piedi, la perfezione di quella cupola illuminata era una ricompensa incredibile per la lunga notte in sella.

Quindici minuti appena e le nostre moto rombano dolcemente su per le pendici del Gianicolo. E lì, finalmente, la ricompensa più grande: Roma al nostro cospetto, un’immensa tela di storia e bellezza che si risveglia lentamente sotto le prime luci del giorno. Lo sguardo spazia dal Colosseo illuminato di rosa all’imponenza del Pantheon, fino alla cupola di San Pietro che avevamo ammirato poco prima da un’altra prospettiva. Un’emozione unica, un misto di stupore e di silenziosa meraviglia, ci ha avvolto. Sentiamo la stanchezza nelle ossa, ma la vista di quella Roma addormentata, così maestosa e vulnerabile al tempo stesso, cancella ogni fatica. E’ la nostra Roma, conquistata con la passione e la tenacia di una notte in sella. Un pensiero semplice ma potente si è fatto strada nella mia mente: ‘Ne è valsa ogni singola curva, ogni brivido di freddo, ogni smadonnata sul brecciolino’. Godiamoci il maritozzo con la panna e in religioso silenzio ammiriamo la grande bellezza!

Grazie Forvm Roma Chapter, e grazie a te, a te, e poi a te, a te, e anche a te e a tutti noi che insieme viviamo sogni bellissimi.
Scibel